Vi siete mai chiesti cos’è l’Agni Parthene? No, non stiamo parlando di una nuova bevanda energetica, ma di un inno ortodosso che ha fatto il giro del mondo. Agni Parthene, che in greco significa “Vergine pura”, è una preghiera dedicata alla Madonna, composta nel XIX secolo da un monaco di nome San Nettario. Si tratta di un canto a cappella, senza accompagnamento musicale, che esprime la devozione e l’amore per la Madre di Dio.
La reinterpretazione musicale di Fracargio
Il nostro brano è una rilettura originale e innovativa dell’Agni Parthene, che ne rispetta lo spirito e il significato, ma ne amplia le potenzialità espressive e comunicative.
Come è nato il brano
Un giorno Dario T. Pino e Francesco Lipari invitano a pranzo Giovanni Arena, contrabbassista di Catania con il quale condividono la formazione compositiva con Alessandro Solbiati. Giovanni era entusiasta dell’idea di improvvisare con loro.
Francesco, polistrumentista, sceglie il flauto basso: frammenti melodici del brano si ricompongono per sfociare nella citazione letterale della melodia, più volte, nel finale. È come un puzzle che nasce dai singoli pezzi che, ammucchiati su un tavolo, non danno l’idea del quadro finale, se non per qualche dettaglio.
Da quell’incontro nacque il singolo Agni Parthene, a cui è seguito l’omonimo album.
Perché un canto ortodosso? Perché le radici profonde della Sicilia sono greche e fino alla romanizzazione del rito anche la liturgia e la fede erano greco-bizantine. Questo ci ha ispirato a riscoprire e valorizzare una tradizione musicale antica e preziosa, che fa parte della nostra identità culturale.
Analisi del brano
Il brano si nutre di contrasti: tradizione e modernità, trascendenza e immanenza, polifonia e monodia, voce e strumento. Contrasti che percorrono tutto il brano, a tratti esaltati e altre volte annullati (come a dare quel senso di serenità interiore tanto agognata).
Un bordone fa da sfondo a tutto il pezzo. È una nota cantata su un LA molto grave che a volte scompare, altre emerge, altre ancora sovrasta tutto il resto. Dal bordone affiorano i due strumenti, contrabasso e flauto basso, eseguendo solo rumori con ogni possibile mezzo: con l’archetto battuto, sfregato, con il soffio nello strumento, insomma l’intero corpo dello strumento diventa cassa di risonanza.
La scelta del rumore è voluta e forte. Se ci riflettiamo il rumore è nato ben prima del suono. Sono rumori quelli che sentiamo per la maggior parte intorno a noi; sono rumori ciò che producono i primi strumenti mai costruiti: le percussioni.
Il contrabbasso inizia il brano. Intorno al primo minuto si aggiunge il soffio del flauto che diventa amplificazione del fiato dell’esecutore, ovvero del respiro, ovvero della vita.
Da qui e per quattro minuti, gli esecutori danno sfoggio di bravura tecnica ed espressiva costruendo una sorta di contrappunto tra gli strumenti. Un crescendo di emozioni condito dai riverberi e dalle risonanze dell’elettronica.
Subito dopo il bordone tace per un minuto e mezzo circa; gli strumenti emergono continuando il percorso di avvicinamento al suono, alla melodia, che finalmente si manifesta nella sua severa e ieratica maestosità al minuto 6:22.
È l’apoteosi della conquista melodica. Tutte le componenti sonore del brano si uniscono in una sorta di orgia sonora che si spegne nello stesso silenzio iniziale.
Epilogo
L’Agni Parthene è un inno che ha attraversato i secoli e le culture, mantenendo intatta la sua forza e la sua armonia. Ci trasmette pace, speranza e serenità, in un mondo sempre più frenetico e turbolento. Ci fa sentire uniti alle persone, al di là delle differenze religiose e culturali. Ci parla al cuore, con la sua semplicità e la sua profondità. Se non lo avete ancora ascoltato, vi consigliamo di farlo: ne rimarrete affascinati.